architecture
Palazzo Callori - Vignale Monferrato
Restauro e ampliamento tecnologico Palazzo Callori
comprendente funzioni: Enoteca Regionale, Municipio, Ristorante, Foresteria, Teatro, Archivi, Uffici regionali
cantiere: 2010-2014
Tra mito e verità storica
Una serie di legami unisce Vignale Monferrato, terra di vino, al mare. Non solo di natura fisica, a Vignale c’era il mare e le pietre del posto ancora ne conservano le tracce (sabbia divenuta tufo che racchiude conchiglie trasformate in fossili), ma anche per le vite di molte persone che hanno in qualche modo avuto a che fare con il borgo ed il suo territorio, il Monferrato.
Per la nostra storia, che si dipana lungo un arco teso tra realtà e leggenda, partiamo dalla Provenza, intorno all’anno Mille, quando nel 934 Ugo d’Arles dona ad Aleramo la corte di “Auriola”, avviando così il “marchesato” degli aleramici in Monferrato.[1]
Ad Aleramo (figlio di Guglielmo) succedono Ottone I, Guglielmo II, Guglielmo III, Ottone II, Guglielmo IV, Ranieri I (il primo che ottiene l’investitura di Marchese del Monferrato), Guglielmo V il Vecchio che con Corrado (Re di Gerusalemme) e Bonifacio I (Re di Tassalonica) andranno alle crociate, Guglielmo VI, Bonifacio II il Gigante, Guglielmo VII il Gran Marchese ed infine Giovanni I.
Quando nel 1305 Giovanni I muore non ha eredi al titolo. La sorella Violante intanto ha sposato a Costantinopoli l’Imperatore bizantino Andronico II Paleologo.
Teodorico, loro figlio, nel 1306 prende la via del mare, seguendo all’inverso il percorso della madre, per “riconquistare” il patrimonio di famiglia materno. Sbarcato a Genova non perde tempo e si sposa con Argentina Spinola e poi va in battaglia nella guerra di successione del marchesato, conteso da francesi e spagnoli con Manfredo IV di Saluzzo, gli Acaja e Carlo II d’Angiò.
L’Imperatore Enrico VII di Lussemburgo nel 1310 investe Teodoro del titolo di Marchese del Monferrato. Dagli Aleramo (la mamma di Teodoro) passiamo così ai Paleologo (il padre); al titolo si succedono: Giovanni II[2], Ottone, Giovanni III, Teodorico II e Gian Giacomo, che sposa Giovanna di Savoia, figlia di Amedeo VII e sorella di Amedeo VIII.
I Callori intanto, sin dal 1149 sono segnalati ad Asti, ove Guglielmo (Guillemus Calorius) ne è Console. Sempre di Asti Gualfredo è console nel 1161, mentre sono consiglieri Rolando ed Obertino (1190), Oggero nel 1217, e Giacomo nel 1276 prima del trasferimento della famiglia a Casale Monferrato. Nel periodo astigiano i Callori appartengono al gruppo delle famiglie signorili “De Civitate Astense”.
Gian Giacomo Paleologo il 14 Ottobre 1432, forse per le difficoltà economiche intervenute con la “guerra” persa con il fratello della moglie (Amedeo VIII di Savoia), incarica quest’ultima – Giovanna di Savoia – di concedere, a titolo oneroso, il feudo di Vignale ai nobili de Insula.[3]
Cent’anni dopo Caterina de Insula, il 21 dicembre 1536, sposa Giovanni Maria Callori.
Lo stesso Giovanni Maria ed il fratello Percivalle Maria Callori (1502-1563) nel 1536 comprano dalla famiglia della moglie del primo (i signori dell’Isola), un nono di feudo e castello di Vignale.[4]
In un modo o nell’altro a Vignale Monferrato prende avvio l’epopea dei Callori.[5]
Vignale è un piccolo borgo di origine medievale con un castello che si erge su uno dei colli più alti del Monferrato. Un po’ più in basso del castello e della chiesa parrocchiale sorge l’imponente complesso denominato “Palazzo Callori” che è stato l’oggetto del nostro intervento di recupero, restauro e rinnovamento.
A Giovanni Maria segue Orazio Callori (1563-1603).
Dopo l’assedio e le distruzioni operate nel 1555 dal Maresciallo di Francia Carlo Cossé di Brissac, ed i saccheggi di un esercito del Re di Sardegna del 1625, il primo impianto del palazzo è presumibilmente della fine del XVII secolo.[6]
Nel 1652 il duca Carlo II Gonzaga (Federico II Gonzaga aveva sposato il 16 novembre 1531 Margherita Paleologo, ed “ereditato” il Monferrato nel 1533 alla morte di Giovanni Giorgio Paleologo, zio di suo fratello Bonifacio IV morto nel 1430), nomina Fulvio Callori conte di Vignale.[7]
Per il Conte Callori il vecchio castello non è più ritenuto adeguato al nuovo rango nobiliare, ed il palazzo di Casale Monferrato non è rappresentativo per gli abitanti di Vignale.
A Fulvio seguono Giovanni Maria, presidente del Senato di Casale intorno al 1650, e Antonio, governatore di Casale nel 1698 e prima ministro di stato a Mantova, ed ivi Presidente del Magistrato, Plenipotenziario del Duca Carlo II nel congresso di Ratisbona e Gentiluomo di Confidenza presso l’Imperatore.[8]
Del febbraio 1685 è la prima citazione di Palazzo Callori,[9] contenuta in una supplica al duca Ferdinando Carlo Gonzaga nella quale viene descritto il “Gran Ballo di carnevale” tenutosi nello stesso palazzo nel 1683.
Nel 1690, in conseguenza della guerra alla Francia dichiarata dal Principe Amedeo II di Savoia, Vignale fu nuovamente saccheggiata e distrutta.
Un po’ dopo il conte Giovanni Francesco Orazio Callori (1718-1799), sindaco di Casale Monferrato, aggiunge alla famiglia il cognome Balliani.[10]
Secondo Maria Grazia Cerri,[11] che ha partecipato in qualità di Soprintendente ai lavori del restauro novecentesco curato da Andrea Bruno e R. Nivolo,[12] è possibile che verso la fine del Settecento l’architetto Francesco Ottavio Magnocavalli abbia messo mano alla sistemazione del palazzo.
Magnocavalli è autore di Palazzo Callori a Casale Monferrato (1761), ed a Vignale della chiesa parrocchiale dei Santissimi Felice e Bartolomeo con F.V. Bianchi (1766-67). [13]
Francesco Ottavio Magnocavalli (o Magnocavallo), conte di Varengo, è morto il 10 ottobre 1788 nella sua villa di Moncalvo, non lontano da Vignale. Considerata la sua passione ed i suoi studi sul Palladio, potremmo attribuirgli il disegno dell’androne, realizzato dopo la sua morte dal Vituli, come la parrocchiale. I lavori di costruzione della chiesa parrocchiale di Vignale (consacrata nel 1825) furono portati a termine da Agostino Vituli di Spoleto; all’interno si trovano affreschi di Luigi Morgari e del pittore vignalese Pietro Besso.[14]
Del 1823 è una planimetria del Palazzo con il disegno del giardino superiore (quello che si affaccia sull’attuale piazza del Popolo), e di quello basso, non realizzati. Nella planimetria è già visibile la nuova ala (non presente in una precedente mappa del 1791) verso la piazza, costruita nella prima metà dell’Ottocento su disegno di Agostino Vituli di Spoleto (parte sul sedime della Chiesa di Santo Stefano acquistata dai Callori nel 1819 e quindi demolita per far posto all’ampliamento del Palazzo).
Sino alla prima metà del Novecento il giardino superiore era cinto, verso la piazza, da una cancellata in ferro poi sostituita con un muro demolito con il restauro di A. Bruno.
Giovani dell’oratorio di Don Bosco furono ospiti nel Palazzo nell’ottobre del 1862, ove il futuro Santo celebrò messa nella Cappella (venerdì 10 ottobre 1862).
Federico Callori e sua moglie Carlotta Balbo-Bertone[15] furono per molti anni legati a Don Bosco, che visitò Vignale e fu ospite nel Palazzo sino al 1879.
Il Conte Federico Callori (1814-1890) fu referendario di Sua Maestà, deputato al Parlamento subalpino, sindaco di Casale, poeta, latinista e Cavaliere dell’Ordine Mauriziano.
Resta da investigare il possibile intervento nel Palazzo dell’architetto Brocchi, segretario dei Callori ed autore a Vignale intorno al 1860 della Cappella funeraria presso il castello, sobria costruzione in linee classiche voluta dal conte Federico Callori, e responsabile della costruzione dell’asilo di Vignale e di restauri al castello d’Uviglie.
Tra i figli di Federico Callori incontriamo il primogenito Giulio Cesare (citato da Don Leymone, biografo di Don Bosco, morto a Torino il 5 marzo 1870), che accompagna nel Palazzo i giovani dell’oratorio, e Ranieri Massimiliano, che sposa Emanuela Beccaria Incisa, generando nel 1890 Stanislao Federico, futuro Cardinale,[16] settimo di dieci figli.
Dal numero 273 del 18 novembre 1942 della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia apprendiamo della morte in guerra, sul mare, del sottotenente pilota Ranieri Callori: “Ufficiale di grande perizia e raro ardimento dava tutta la sua opera intelligente ed entusiasta per la preparazione bellica del reparto cui apparteneva. Primo pilota a bordo di un velivolo della ricognizione marittima dopo aver avvistato una importante forza navale nemica, sopraffatto dalla caccia avversaria, non rientrava alla base. Cielo del Mediterraneo Centrale, 22 giugno – 17 settembre 1940-XVIII”.
Il ramo (o meglio la linea) dei conti Callori si estinse nel 1971 con la morte del Cardinale Stanislao.[17]
Nel 1974 il Palazzo fu acquistato dalla Casa d’Aste Franco Semenzato di Venezia che lo vendette il 23 ottobre 1976 alla Regione Piemonte guidata da Aldo Viglione.
Per incarico degli Eredi Callori, il primo giugno del 1975 la Casa d’Aste di Franco Semenzato tenne nel Palazzo l’asta dell’arredamento antico.[18]
Tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta del Novecento avviene il primo “restauro” del palazzo, a cura di A. Bruno e R. Nivolo. Vengono sostituiti i pavimenti alzandone il livello (con “adeguamento” delle porte interne) ed i serramenti esterni (con elementi monoblocco), rifatta la copertura, eliminati gli intonaci dalle facciate, demolito il muro di cinta del giardino superiore su piazza del Popolo, restaurati gli affreschi. [19]
Della seconda metà degli anni Dieci del XXI secolo è il nuovo progetto di restauro coordinato da M. Varratta.[20]
Il primo cantiere del XXI secolo
Dall’autunno del 2010 alla primavera del 2014 ho diretto i lavori di restauro[21] di Palazzo Callori, progettando alcuni interventi innovativi, come il ridisegno della nuova scala del Municipio, con struttura portante in corten,[22] la sostituzione dei pavimenti industriali con quelli in cotto fatti a mano dalla fornace di Sezzadio, la ricostruzione delle spallette in murature delle aperture ed i nuovi serramenti in legno in sostituzione di quelli in “monoblocco” tardo novecenteschi, ormai degradati e fuori norma, eseguiti con profili a disegno.
L’esecuzione dei lavori è stata coordinata dall’omonima impresa bergamasca guidata da Mario Viviani.[23]
Il palazzo è costituito da dieci piani multilivello (a quote variabili, dalle centrali sotterranee agli spazi per la foresteria del sottotetto sino alla torretta di avvistamento/comunicazione a sud), da oltre centosessanta locali, e da alcuni pozzi. Il primo piano interrato ospita la cantina dell’Enoteca regionale ed un teatrino con doppio foyer per l’accesso sia da strada che dal giardino basso.[24] Nei due piani principali, quello terreno ed il primo, oltre all’ex cappella, completamente decorate, vi sono più di trenta sale affrescate e/o decorate, con diversi livelli di qualità ed intensità.
Tutte le stanze sono dotate di volte tranne una, la sala del consiglio, con soffitto ligneo a cassettoni decorati (nel corso del restauro è stato realizzato un secondo solaio strutturalmente portante i carichi del sovrastante archivio storico comunale, in carpenteria metallica, parallelo al primo ma da esso indipendente). E’ una grande collezione di tipologie di volte: da quelle più semplici a botte a quelle ad ombrello, etc. Un esteso campionario costruttivo dalle alte valenze didattiche.
Al primo piano è collocato il lungo salone con gli stucchi, una sorta di “galleria di Diana” del Monferrato, con pavimento in seminato alla veneziana, e le tre sale con la ricca tappezzeria su carta in parte dipinta a mano, con tre tonalità che le caratterizzano, emergendo con discrezione da una visione d’insieme: l’azzurra, la verde e la rosa. Sono stanze di gusto inglese neoclassico che si distinguono dagli altri ambienti del palazzo.
La stanza verde, quella di mezzo, ha una tappezzeria monocromatica con motivi floreali ed i pannelli sovraporta decorati con figure che rimandano al mondo dell’arte, come in quella dove un putto è intento a scolpire un bassorilievo osservando “dal vivo” una coppia di angioletti birichini restii a rimanere “in posa”; il soffitto presenta interessanti stucchi con sfingi alate dalle grosse zampe.
Nella stanza rosa[25], la più orientale e luminosa, la carta della tappezzeria comprende piccoli paesaggi ricompresi in un disegno “a grottesca” con animali ed angeli, mentre nel sovraporta e nei pannelli sopra gli specchi sono dipinti ricchi vasi di fiori, molto colorati; gli stucchi della volta riprendono il tema dell’abbondanza/ricchezza, con copiose cornucopie che versano monete; un grande sole dal volto umano, all’interno di una stella ad otto punte, occupa il centro della volta; i suoi raggi si irradiano trapassando una corona di nuvolette.
Nella stanza azzurra, la prima alla quale si accede dalla galleria degli stucchi, la carta da parati è dedicata a case di campagna racchiuse da ghirlande vegetali con rose e glicini; nei sovraporta sono raffigurati uomini e donne con un’iconografia che rimanda all’agricoltura ed alla caccia, come la fanciulla con il mazzo di grano, il giovane uomo che con una mano mangia un grappolo d’uva mentre con l’altra tiene un calice, o quello con l’arco; la volta presenta stucchi con tralicci d’uva che perimetrano tutta la stanza, tondi collocati negli angoli con uccelli ed altre allegorie, e teste femminili di bambine che sorreggono ceste di fiori.
Delle piccole stanze del primo piano con affaccio su via Bergamaschino, con le pareti riccamente – quasi ossessivamente - decorate, rilevo la qualità di fattura dei dipinti dei sovraporta, dall’iconologia figurativa varia, con paesaggi e monumenti, scorci di villaggi e città.
Del cantiere voglio ricordare la fase di consolidamento delle volte in muratura. Un processo articolato che passa attraverso la messa a nudo della calotta delle volte. Un’operazione che scava nell’intimità della costruzione, ne toglie i veli, i trucchi (le finiture). Il colore dei laterizi e della calce ci rimanda a quello della carne. Ci vuole rispetto e discrezione. L’edificio richiede la sua privacy. Il muratore assurge al ruolo di chirurgo che rimette a nuovo la struttura e gli organi vitali interni del vecchio corpo di fabbrica.
L’edificio sorge in pendenza su una collina. Tra il livello più alto e quello più basso vi sono circa trenta metri di dislivello; un manufatto impegnativo per l’epoca di costruzione. La realizzazione della centrale frigorifera ipogea ha richiesto la formazione di una berlinese, mentre la centrale elettrica è stata ricavata in un vano esistente nel tufo. La collocazione definitiva della centrale termica ha tenuto conto della presenza di una antica cisterna d’acqua in muratura.
Durante i lavori sono riemersi alcuni interessanti spazi, nel tempo murati. La cosiddetta “ghiacciaia”, un locale voltato lungo circa 23 metri, largo sei ed alto 10, un tempo collegata sotterraneamente al castello, ed uno spazio vagamente quadrangolare con una seduta disposta ad U, al quale originariamente si accedeva dal palazzo per mezzo di due scale interne, le cui tracce sono ancora visibili lungo i muri scavati nel tufo,[26] la cosiddetta Pietra da Cantoni.[27] E’ un ambiente piccolo ma molto suggestivo, al quale conduce uno stretto tunnel scavato nella roccia, più riparo che cantina.
La climatizzazione del palazzo avviene principalmente per mezzo dei pannelli radianti collocati sotto il pavimento in cotto a mano, e tramite fan coils celati sotto i davanzali delle finestre da pannellature rimovibili in legno realizzate a disegno, integrate con i serramenti. Al primo piano, per mancanza di adeguata altezza dei sottofondi, sono stati posati pannelli radianti a secco anziché ad umido, con lastre metalliche di distribuzione. Le prese elettriche sono state alloggiate in torrette a scomparsa con telaio in acciaio inox che contiene i materiali di finitura dei pavimenti nei quali sono collocate.
Per rispettare gli originari muretti dei terrazzi in muratura e pietra verso oriente, e non alterarne il profilo d’insieme nel paesaggio, al fine di renderne però sicura la fruizione essendo di altezza inadeguata, sono stati infine collocati dei minimalisti parapetti rimovibili in acciaio inox, con zavorra costituita dalla pavimentazione galleggiante in pietra di Luserna.
Il palazzo attende ora il completamento dei restauri delle decorazioni interne, con la rimozione delle ridipinture grossolane più recenti, e l’arrivo dei nuovi “abitanti” cosicché ne sia assicurata la costante manutenzione e resa possibile la fruizione pubblica, così come auspicato anche in sede di sopralluogo con i commissari dell’Unesco.[28]
[1] Altri autori narrano una storia romantica, per certi versi shakespeariana, ma dal lieto fine, che vede anche per un certo periodo Aleramo carbonaio al mercato di Albenga, in Liguria.
Giosue Carducci in Piemonte (dalla raccolta Rime e ritmi, 1898), descrive così, tra le altre località, il Monferrato: «(…) e l’esultante di castella e vigne suol d’Aleramo».
[2] Nel 1350, «communitas et homines» di Vignale ottennero dal marchese Giovanni II Paleologo la conferma dei «pacta, immunitates et gratias olim per praedecessores suos concessos». Nel documento venivano riassunti i punti salienti di quello che si presentava come un contratto tra il principe e la comunità. Cfr. Marco Battistoni, Schede storico-territoriali dei comuni del Piemonte. Comune di Vignale Monferrato, Regione Piemonte, 2002.
[3] Per quanto concerne Vignale, il feudo dagli Aleramo passò ai marchesi di Occimiano ed ai signori di Lamerio che, il 18 agosto 1149 lo vendettero al Comune di Asti. Durante il XII secolo, il ramo aleramico dei signori di Occimiano tenne il luogo per investitura dei marchesi di Monferrato e, a loro volta, i signori di Lamerio possedettero la loro quota per investitura ottenuta dai primi. Nel secolo successivo, e fino verso la metà del secolo XV, i marchesi del Monferrato esercitarono formalmente l’autorità su Vignale in maniera perlopiù diretta, con l’eccezione, agli inizi del Trecento, della concessione in feudo al genovese Opizzino Spinola, suocero di Teodoro I Paleologo e primario sostenitore della sua ascesa. Alla morte dello Spinola, per eredità Vignale tornò fino al 1432 sotto l’immediato dominio del marchese, quando venne infine - a titolo oneroso - infeudata a un esponente della famiglia patrizia chivassese dei Dell’Isola. Cfr. M. Battistoni, op. cit., Regione Piemonte 2002.
Per il Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna compilato per cura del professore Goffredo Casalis, Volume 5, la famiglia De Insula fu investita da Guglielmo del Monferrato, durante il suo soggiorno a Chivasso, del titolo di castellani perpetui e della signoria di Vignale ove Matteo De Insula fu Sindaco intorno al 1400, come Gerolamo e Giulio nel 1530. Si segnala anche Giuseppe Amedeo, governatore di Verrua e poi di Saluzzo.
[4] Cfr. Maria Grazia Cerri, Architetture tra storia e progetto, Torino 1985, p.290, che cita F. Vitullo, Uomini e vicende di Vignale Monferrato, 1968, p.34.
[5] Seguendo Marco Battistoni: “Con il tempo, i Dell’Isola avevano alienato diverse porzioni del loro feudo agli esponenti di varie famiglie del Monferrato e dell’Astigiano, tra le quali, nel 1536, la famiglia a loro imparentata per alleanza matrimoniale dei Callori, già detentrice di altri importanti feudi. Nel corso di un lungo processo di acquisti di quote di giurisdizione, i cui momenti decisivi si situarono attorno alla metà del secolo XVII, il ramificato consortile familiare dei Callori pervenne a riunire nelle sue mani la quasi totalità del feudo di Vignale (Giorcelli 1904-1905, pp. 93-94 e 295; Sergi 1986, pp. 455-459; Vitullo 1937).” E prosegue: “Le strategie messe in atto dai Callori per promuovere il proprio status e le proprie risorse patrimoniali riflettono abbastanza fedelmente gli orientamenti più diffusi in quella parte del patriziato casalese, dotato di prerogative feudali, che, dopo l’avvento della dinastia Gonzaga – a differenza di quella che, identificandosi più esclusivamente con le istituzioni cittadine, tentò la via della resistenza e della ribellione di fronte alle pressioni centralizzatrici dei nuovi sovrani – si dispose assai presto a cercare nel rapporto con la corte mantovana e nel servizio del principe occasioni di consolidamento e di ascesa socioeconomica, non rinunciando tuttavia a coltivare il proprio radicamento signorile locale. Tra i due campi d’azione vi è anzi sinergia, evidente ad esempio nelle migliori opportunità che assicura a chi voglia approfittare della politica di alienazioni del patrimonio e dei diritti sovrani che i duchi sono costretti a praticare, sotto la spinta di oneri difensivi sempre crescenti, a partire dai primi decenni del secolo XVII. Così, mentre, da un lato, risultano precocemente inseriti nella burocrazia e nelle magistrature ducali, i Callori acquistano a titolo oneroso dal principe importanti regalie per i loro feudi, come, nel 1635, la seconda cognizione delle cause discusse in prima istanza nel tribunale podestarile di Vignale. Precedentemente, nel 1629, essi avevano ottenuto la completa esenzione fiscale per tutte le trenta «massarie» possedute dai vari membri della casata nel Monferrato, tra le quali, le dodici ubicate nel territorio di Vignale totalizzavano la quarta parte del «registro» del luogo.” Cfr. M. Battistoni, op. cit., Regione Piemonte 2002.
[6] Cfr. Maria Grazia Cerri, op. cit., Torino 1985, p.289.
[7] Fulvio Callori (1586-1653), Governatore di Sicilia e Capitano delle Guardie del Duca di Mantova, e Giovanni Maria Callori, sono i primi ad ottenere il titolo comitale per il feudo di Vignale, coronando un accumulo di prerogative e riconoscimenti che avrebbe suscitato nel 1658 le formali proteste dei detentori di quote minori di giurisdizione nel feudo, estranei alla casata. Cfr. ASA, Senato del Monferrato, Atti di lite, Mazzo 50, Vignale Comune contro Callori Conte e Solario).
[8] Cfr. Pierluigi Piano, Notizie storiche della città di Casale Monferrato, 2008.
[9] Cfr. Maria Grazia Cerri, op. cit., Torino 1985, p.292.
[10] Nel corso del XVII secolo vi è l’unione dei patrimoni e dei cognomi dei Provana e dei Callori nella persona del conte Orazio Callori Provana e, nel 1713, l’assunzione del cognome dei casalesi Balliani, ereditato dall’ultimo esponente del prestigioso casato dal nipote Federico Callori, grazie al matrimonio contratto nel 1667 tra lo stesso Orazio Callori Provana e una Balliani (Raviola 2001, pp. 275-276 e pp. 282-285; ASA, Senato del Monferrato, Atti di lite, Mazzo 50, Vignale Comune contro Callori Conte e Solario).
[11] Cfr. Maria Grazia Cerri, op. cit., Torino 1985, p.292.
[12] Un intervento per certi versi molto “duro”.
[13] Cfr. Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67, voce Francesco Orazio Magnocavalli, 2007.
[14] Del Besso si vedano “La Redenzione delle miserie umane” e “La Madonna che benedice la popolazione di Vignale”.
[15] Si sposarono nel 1845. Carlotta Balbo-Bertone era nata nel 1827 da Vittorio Amedeo Conte di Sambuy e Maria Luisa Pallavicino dei Marchesi delle Frabose. Dalla loro unione nacquero sei figli, tre dei quali morirono: Giulio Cesare e Vittorio Emanuele (in giovane età), e la figlia maggiore Vittoria. Gli sopravvissero Ranieri Massimiliano e due figlie, Maria Luisa e Maria Concetta. Secondo Natale Cerrato: “I Conti Callori, a detta del biografo di don Bosco, furono tra i primi Cooperatori Salesiani che, incuranti di fatiche e disagi, si sacrificarono per il bene dei giovani poveri e abbandonati da lui raccolti. Il Conte Federico si prestò a Torino sin dai primi anni in aiuto al prete di Valdocco. Pare, invece, che la Contessa abbia incontrato per la prima volta don Bosco nel 1861, in occasione di una di quelle gite autunnali che egli faceva con i suoi ragazzi per i colli del Monferrato. Essa si trovava quel giorno a Montemagno presso i Marchesi Fassati, nella cui villa giunse don Bosco e lo invitò a Vignale per l’anno seguente. Nell’ottobre del 1862 don Bosco portò i suoi ragazzi a Vignale, dove, fermatisi due giorni, furono ospiti dei Conti che avevano preparato una lauta mensa per tutti e trovato anche per i ragazzi alloggio all’ultimo piano del loro Castello.” Ed ancora: “Quando decise l’erezione di un tempio in Torino a Maria SS., don Bosco chiese alla Contessa di suggerirgli il titolo ed essa gli propose proprio quello di Maria Aiuto dei Cristiani, che egli già aveva nella mente e nel cuore. La Contessa poi fu tra le più insigni benefattrici della Chiesa di Maria Ausiliatrice e di quella di san Giovanni Evangelista in Torino.”
[16] Fu nominato Cardinale nel 1965 da Paolo VI. In precedenza era stato Maggiordomo di Giovanni XXIII (il Papa buono), nonché Prefetto dei Sacri Palazzi.
[17] Il canonico don Edoardo Poncino ha dedicato un sonetto dialettale ai Callori, intitolato “I Cont”: “Da ‘n mes a gl’iombri scurii dal passà / as veugh filtrà n’ s-ciarur straurdinari, / la ‘gloria’ d’in Casato ‘d Nobiltà, / i Cont Calori (a Vgnà da tempi vari).”
[18] Il catalogo dell’asta è consultabile presso la Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna, collocazione CA 16 1975 0601.
[19] Per una descrizione più dettagliata vedi Maria Grazia Cerri, op. cit., Torino 1985, pp. 289-303, e G. Nannerini, Una residenza settecentesca recuperata all’uso pubblico, in “L’industria delle costruzioni”, novembre 1982. I lavori furono eseguiti dall’impresa Borini di Torino.
[20] In associazione temporanea con le società di ingegneria Progess, Icis, MCM ed altri.
[21] Si tratta dei lavori di un primo lotto di tre, il più grande e complesso - committente la Regione Piemonte, - comprendente il consolidamento delle volte e delle murature, e la realizzazione delle centrali tecnologiche ipogee. Tra i materiali utilizzati per i consolidamenti strutturali vi sono le fibre di carbonio e la calce naturale senza componenti cementizi.
[22] Con il contributo per le strutture dell’ingegner G. Donna della società Icis. Le colonne portanti, terminanti sfalsate con pigne in ghisa, sono verniciate di colore rosso vino.
[23] Viviani Impianti di Calusco d’Adda, mandataria capogruppo, in associazione finale con la ditta locale Firmitas, mandante (la compagine societaria dell’associazione temporanee delle imprese è cambiata nel tempo; nella formazione iniziale, oltre a Viviani Impianti e Firmitas vi erano anche Abitat di Vigevano e Mistrali di Imperia).
[24] Da molti decenni il paese, a cura del Teatro Nuovo di Torino, ospita la rassegna internazionale di danza “Vignale Danza”.
[25] Un rosa tendente al colore del grignolino, uno dei vini della zona.
[26] Vignale è ricca di infernotti, gli infernot, specie di cantine scavate nel tufo sotto le strade, per la conservazione delle bottiglie di vino, alle quali si accede dalle cantine delle case.
[27] Una pietra miocenica formatasi per la presenza del mare circa venti milioni di anni fa (Vedi l’Ecomuseo della Pietra da Cantoni).
[28] Il comune di Vignale, con i suoi infernot ed il paesaggio vitivinicolo, nel 2014 è entrato a far parte del patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Between myth and historical truth
Vignale Monferrato, a land of wine and vineyards, has a number of links to the sea. These links are not only physical: Vignale was once part of the sea; traces of which can be seen in the stones of the surrounding area (sand transformed into Tufa containing fossilized shells) but also in the lives of many people who have had dealings with the village and its territory, Monferrato.
Our story unfolds beginning in Provence, spanning a time frame between legend and reality, in around 1000 a.d., when Hugh of Arles in 934 grants Aleramo the court of “Auriola”, bestowing the hereditary title of Marquis on the Aleramic dynasty.
Aleramo (son of Guglielmo) succeeds Ottone I, Guglielmo II, Guglielmo III, Otto II, Guglielmo IV, Ranieri I (the first to be invested as the Marquis of Monferrato), Guglielmo V the Elder who together with Corrado (King of Jerusalem) and Bonifacio I (King of Tassalonica) will go to the Crusades, Guglielmo VI, Bonifacio II the Great, Guglielmo VII, the Grand Marquis and finally Giovanni I.
Giovanni I dies in 1305 with no heirs to succeed the title. His sister Violante meanwhile married the Byzantine Emperor Andronicus II Palaeologus in Constantinople.
In 1306 their son Teodorico in order to regain the maternal family fortune takes the route by sea following the reverse route his mother had taken. Landing in Genoa, he wastes no time and marries Argentina Spinola, going into battle in the war of succession for the Marquisate, disputed by the French and Spanish with Manfredo IV of Saluzzo, the Acaja and Charles II of Anjou.
The Emperor Henri VII of Luxembourg in 1310 bestows the title of Marquis of Monferrato on Teodoro. The title passes from the Aleramo dynasty (the mother oft one, Giovanni III, Teodorico II and Gian Giacomo, who married Giovanna of Savoy, daughter of Amadeus VII and sister of Amadeus VIII…